Esco a fare un giro.

– Non mi interessa, magari ripasso.
– Ma no, l’importante che passino gli anni. Ma tu vivi e fai vivere nelle illusioni. Ma cosa vedi in fondo che neanche ti ricordi com’è passato il tempo. Ma in che cosa credi?
– Credo, ma prego chi se non me stessa.

Fa un freddo minimal, la mia calligrafia tende a migliorare, la mia postura è sempre la stessa, la musica che ascolto è cambiata, le persone a cui tengo sono sempre le stesse e me le tengo strette, una settimana no e una sì ho la febbre, ho assistito ai momenti storici del mondo dal mio letto, ed è vero, non ricordo più com’è passato il tempo.
Ho tanto da scrivere che poi alla fine non scrivo niente e non so disegnare, non so disegnare prospettive perché non riesco ad immaginarle, non vedo nessuna prospettiva.
Poi non so se c’è una guerra, una pace, ma gli altri stanno continuando a respirare e a guardarsi solo negli occhi, perché pare che dalla provincia il mondo sembra molto più grande e lontano.
Leggo per caso, per sbaglio, poesie e quella avrei voluto scriverla io.
Certe parole sono solo degli orologi fermi, segnano l’ora giusta solo due volte al giorno e invece non c’è tempo che basti per dirsele.
Tu passa fra vent’anni, passa tra i miei occhi, passa tra quello che rimane o che sta nascendo, perché ci diciamo sempre “poi passerà”, e poi arriva il momento.
Su un pezzo di carta mi scrivo che non esiste la paura dell’arte e vaffanculo al mondo, non può farci male.
E parlare di morte perché fa parte della vita, i discorsi veri e i che ne pensi: chi scrive non si tatua o non si lascia cadere?
Ho scritto “torno subito” sulle vostre opinioni e ho avuto troppi imprevisti per tornare, e mi sono fatta viva da parte.
Dico sempre di partire e non so nemmeno dove andare.

Hai una vita da fare a pezzi,
dei soldi da mettere da parte,
dei sogni a pari passo con i viaggi da realizzare.
Hai delle mani da stringere,
il più possibile.
Devi svegliarti e stamparti sulla faccia quel sorriso,
che non ti piace poi così tanto.
Non sempre puoi dire ciò che pensi,
loro hanno paura di alcune strane cose.
Devi correre a casa,
anche quando ti sembra davvero troppo tardi.
Devi scegliere,
che fare delle prossime ore,
quali vestiti stamparti addosso che non piaceranno agli altri,
scrivere in modo chiaro ed ordinato.
Devi saper guardare l’orologio,
non te ne accorgi ma si è fatto già tardi.
Tardi per cosa.
Stai inseguendo tutto e tutti e non sai dove andare.
E ti piace di più,
se poi non piace agli altri.

Mio padre mi ha portato dei fiori, mia mamma mi ha offerto una birra.

E’ mezzanotte, come ti senti?
Mi sento solo come ieri.

Mi stringono e mi stringo nell’imbarazzo. E’ così avere diciott’anni, non è niente.
Sono un sacco di pugni allo stomaco i messaggi che ricevo, come se certe persone avessero accumulato tutto ciò che sentivano durante l’anno, adesso mi fanno piovere parole addosso e mi fanno piovere gli occhi.
“Hai un mondo dentro”, sì ma è in corso un cataclisma.
“Ti auguro tutto”, quando avrei preferito che mi stessi soltanto accanto.

Sul banco si presenta un mazzo di fiori, rose di quel rosa che a me non piace poi così tanto.
“Vorrei scriverti tante cose belle come hai fatto tu, ma… ti voglio bene da morire.”
Siamo solo uguali, è solo il bene di una vita intera.

“E’ il nostro compleanno, io ero con te in quella stanza, eravamo sole. Beviamoci una birra.”
E mi viene così tanto da sorridere che non ci penso a tutto il resto.
E’ che sono tutto quello che mi ha dato, che mi ha detto, scritto.

Ma è così avere diciott’anni, non è niente.
E’ non dire di avercela fatta, perché non sei nemmeno a metà dell’opera. E sono senza colori, senza bozze per il futuro.
E’ un giorno di resoconti, di chi è lontano e non l’ho mai sentito così vicino, di chi ha capito tutto, chi niente.
Vorrei non avere solo il ricordo, ma anche la certezza di portare con me tutto questo.
Ieri ero sempre io, anche domani lo sarò. Sempre quella che odia le sorprese.
E’ la mia storia, la sto scrivendo io, mi vedo, mi sento, con tutta la voglia di andare ancora, di ricordarmi un po’ che esistere non è uguale a lottare, che aspirare non significa illudersi.
La fine di settembre è questo, solo un altro livello di una spirale di vita.
Come al solito, mi lego tutto ai polsi.
E non mi sono mai sentita così piccola.

“Pensavo fossi antipatica prima di conoscerti.”

È solo una questione di abitudine.
Devo solo abituarmi al fatto che la mia vita è un continuo altalenare, che un giorno dai cento e il giorno dopo ti ritorna zero con annessi stati confusionali e lacrime.

Questo così dovrebbe essere il mio primo post su questo blog di cui mi vergogno un sacco perché per la prima volta ci metto la faccia alle stronzate che scrivo.
Quindi perché non tagliare il nastro in una di quelle giornate che quando arrivi a sera ti viene solo da dire “ma che cazzo è successo?”
Okay, sarà un blog estremamente caotico e molto poco puntuale.
La mia prof. dice che faccio troppe frasi nominali, io so che metto troppo spesso e troppi punti.
Ho riletto circa trenta volte queste parole perché sono sempre indecisa su tutto, su le situazioni in cui mi trovo, su le persone (di merda) che incontro, sull’inutile filosofare che mi affligge o tipo su che scarpe comprare e su che scarpe comprare ancora.
Il perché di questo nome lo spiego più in là o non lo spiego proprio perché è veramente poco fondamentale.
Che faccio, chi sono e dove respiro: sono tutta un’altra storia.

Per ora lascio una foto qui perché sono stata con tutta la mia famiglia a mille e seicento metri tra le nuvole (che per me è come scalare l’Everest!) e questa cosa, unica e sola di oggi, mi fa sorridere.

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